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Cybersecurity, sempre più attacchi e meno figure professionali

Se qualcuno vi dicesse che la cybersecurity, ovvero la sicurezza dei dati sensibili, è la seconda emergenza a livello europeo, dopo il cambiamento climatico e prima dell’immigrazione probabilmente non gli credereste.

Ma se pensiamo che quanto appena detto è emerso dal meeting sullo Stato dell’Unione Europea del settembre scorso con tanto di potenziali prospettive di risoluzione del problema, allora la questione

diventa perlomeno credibile.

Se poi un colosso come Apple pochi giorni fa ammette che i Mac, gli iPhone, gli iPad e gli Apple Watch non sono immuni rispetto al rischio di furti di dati da parte di hacker e comunica di aver avviato una corsa contro il tempo per elaborare gli aggiornamenti che dovrebbero permettere di chiudere le falle di sistema “Meltdown” e “Spectre”, rinvenute nei chip dei principali produttori come Intel e AMD, allora si comprende bene che il problema è serio. In gioco, infatti, ci sono i dati sensibili di non solo di privati ma anche delle aziende.

Solo per rendere l’idea, la Banca d’Italia ha fatto sapere che circa il 47% delle aziende piccole e medie in Italia, nel 2016, ha subito almeno un attacco. Dato che ha avuto un’impennata nel 2017 tanto che secondo quanto sostiene Gartner, una società specializzata in ricerche di mercato, nel 2017 la spesa in soluzioni di cybersecurity sembra aver toccato gli 86,4 miliardi di dollari. E per il 2018 alcune stime parlano di quasi 7 miliardi in più.

Dunque, a quanto pare, i costi di “riparazione” dei danni commessi da attacchi hacker non sono pochi. E in alcuni casi, come dicono gli esperti del settore, un attacco informatico potrebbe addirittura mettere a repentaglio l’esistenza stessa di una piccola o media azienda solamente con una semplice mail dato che la maggior parte delle volte la porta di accesso di malware e attacchi vari è proprio la casella di posta elettronica.

Ma se aumentano gli attacchi, cresce anche la domanda di personale formato in grado di prevenire eventuali furti o blackout di sistemi. Tanto che, stando a quanto riferito da Roberto Baldoni, direttore del Centro di Ricerca in Cyber Intelligence and Information Security (CIS) dell’Università La Sapienza, nel 2020 avremo 3 milioni di posti di lavoro vacanti nel settore della sicurezza informatica. Ragion per cui, ha dichiarato Baldoni “abbiamo bisogno di creare da zero una nuova forza lavoro in grado di sopperire alle esigenze in questo settore sia per quanto riguarda il pubblico sia per quanto riguarda il privato”. Un investimento non da poco che, nel lungo periodo, consentirebbe di evitare di sostenere costi più elevanti per riparare i danni. Come si suol dire: prevenire è meglio che curare.


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